Rassegna stampa: gli investimenti delle casse di previdenza, il papa e il mondo del lavoro

Cassa a caccia di infrastrutture di Luisa Leone (Milano Finanza. 17/05/2017)

Allo studio dell’Adepp le proposte presentate da Deutsche Bank, Macquarie e Black Rock. Nel veicolo (da almeno 500 mln di euro) focus su trasporti, grandi reti e rinnovabili.

Un fondo da almeno 500 milioni di euro per investire nelle infrastrutture italiane. Ci stanno lavorando le casse di previdenza dei professionisti riunite nell’Adepp, che, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, sta già analizzando alcune proposte concrete presentate da operatori finanziari di primo piano. Nello specifico, sono tre i progetti sotto la lente, elaborati per gli enti da Deutsche Bank, Macquarie e Black Rock. Quale che sia la scelta finale, il menù dovrebbe essere piuttosto simile; il fondo dovrebbe investire in opere già in funzione ma anche in progetto per nuove costruzioni, con un’attenzione particolare a quelle per il trasporto, sia su ferro che su gomma, ma anche ad aeroporti, grandi reti di trasmissione ed energia rinnovabile.

L’obiettivo è mettere insieme risorse provenienti dalle casse di previdenza per un ammontare minimo di 500 milioni, anche se in realtà si mira più in alto e non si esclude il coinvolgimento di altri attori istituzionali. Al momento però l’Adepp, l’associazione presieduta da Alberto Oliveti, va avanti per la sua strada, puntando a chiudere un primo investimento a stretto giro.

Insomma, il risparmio previdenziale non rimane fermo, anche se oggi le casse nelle loro logiche di investimento si muovono ancora in base a un codice di autoregolamentazione, in attesa che venga emanato il decreto ministeriale che fissi i criteri per gli investimenti degli enti privatizzati, come già avvenuti per i fondi pensione. (…)

 

 

Il papa e il lavoro alla sfida dell’innovazione di Max Bergami (Il Sole24Ore, 19/03/2017)

Non è la prima volta che Papa Francesco ricorda che dal lavoro dipende la dignità umana, ma nel corso dell’Udienza Generale del 15 marzo si è spinto oltre, sostenendo che «Chi, per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari, chiude fabbriche, chiude imprese lavorative e toglie il lavoro agli uomini, compie un peccato gravissimo».

Dalla Rerum Novarum (1891) di Leone XIII la Dottrina Sociale della Chiesa ha apertamente preso in considerazione «i portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell’industria», analizzando la tensione dinamica tra progresso e conflitti che possono derivare dal cambiamento. Novanta anni dopo, Giovanni Paolo II nella Laborem Exercens fa un elogio della tecnica, definendola «alleata del lavoro», affermando però al tempo stesso che «la tecnica da alleata può anche trasformarsi quasi in avversaria dell’uomo», come quando la meccanizzazione del lavoro soppianta l’uomo, togliendogli ogni soddisfazione personale e lo stimolo alla creatività e alla responsabilità; quando sottrae l’occupazione a molti lavoratori prima impiegati, o quando, mediante l’esaltazione della macchina, riduce l’uomo ad esserne il servo».

Papa Francesco fa un altro passo avanti, quando nell’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium” dice senza mezzi termini «No a un’economia dell’esclusione». Ora, senza voler interpretare o parafrasare le parole di Papa Bergoglio, sembra proprio che emerga una supremazia del lavoro, in quanto fonte di dignità, su qualunque altra valutazione economica. Si tratta di una prospettiva coerente con la pragmatica sociale gesuita e con l’esperienza di un Papa che viene “dalla fine del mondo”, ma che ormai ha fatto esperienza diretta delle contraddizioni della società occidentale industrializzata. Mentre le Encicliche che hanno preceduto Francesco hanno costruito una dottrina sociale, quasi un prodotto cattolico nel mercato delle teorie sociali ed economiche, l’ammonizione del Papa non si presenta come una dichiarazione ideologica, ma piuttosto come una preoccupazione di chi esprime una verità anche con finalità maieutiche: se non siamo in grado di costruire una società degna, è Male. Si tratta di un argomento di estrema attualità e complessità, collegato ai più recenti risultati della ricerca scientifica e tecnologica, nonché alle conseguenti applicazioni. Il processo di innovazione tecnologica, che ha solo iniziato a cambiare la società, può portare a miglioramenti impensabili nella vita delle persone, ma allo stesso tempo, esiste il rischio di una trasformazione talmente radicale da rendere rapidamente obsoleta una quota molto significativa di lavoratori. Gli esempi sono già molto numerosi: l’home banking ha reso inutile il lavoro dei cassieri, le diverse facce della peer-to-peer economy allarma taxisti e retailer, i robot sfidano operai e chirurghi, per non parlare delle applicazioni derivanti dall’intelligenza e dalla visione artificiale. Ormai è chiaro che non si tratta di fantascienza, ma di un processo in corso che molto probabilmente tenderà ad accelerare con un andamento non lineare, ma esponenziale.

Imprenditori e manager non sembrano avere molte alternative a disposizione perché le imprese che resteranno indietro sono destinate a cadere sotto la falce della selezione, così come i servizi pubblici antiquati stanno diventando talmente inefficienti da rappresentare un fardello insopportabile per qualsivoglia società. Probabilmente questa trasformazione richiederà nuove competenze e offrirà nuovi posti di lavoro, ma indubbiamente espone l’economia globale al rischio di una nuova disoccupazione per obsolescenza delle risorse umane.

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La versione completa dell’articolo è disponibile su Il Sole24Ore

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