Paola Rita Carloni ha iniziato la professione di agente di commercio dopo la seconda metà degli anni 60. Il suo primo versamento Enasarco risale al 1968. Lo scorso 4 luglio è stata premiata dal presidente Gianroberto Costa, insieme ad altri tre colleghi, per questa lunga militanza appassionata e tenace. L’abbiamo intervistata e abbiamo scoperto una persona di grande spessore umano, capace di coniugare la dimensione spirituale della vita con quella del lavoro e del rispetto degli altri.
La Fondazione Enasarco l’ha premiata, insieme ad altri colleghi, per gli oltre 40 anni di attività. Cosa significa per lei questo riconoscimento?
La vita scorre via come un sogno e spesso tanti momenti sembrano sfuggirci. Trovo in questo riconoscimento una forza che mi riporta alla consapevolezza della mia lunga vita di lavoro.Questa iniziativa è arrivata al termine del mio percorso lavorativo, percorso che ha richiesto dall’ inizio impegno, sforzi e dedizione.Non sarei potuta arrivare fin qui senza l’aiuto e il sostegno della mia famiglia paziente e comprensiva, che ha condiviso con me le soddisfazioni e i tanti ostacoli che costellano la vita quotidiana.
Ci racconta come e quando ha iniziato a fare l’agente di commercio?
Ho cominciato nel 1968, quando avevo ventuno anni, durante il periodo universitario. Un anno bollente per le università. Confesso che non c’è stato un colpo di fulmine con questa professione, anche perché ogni giorno dovevo rimodellare i contorni della prospettiva, uno spazio lavorativo fatto di istanze e proposte, di domande e offerte, ma poi anche di emozioni, aspettative e ricerca di affinità. Sono stata parecchi mesi in bilico tra questa e un’altra professione. Quando sei molto giovane non puoi sfuggire all’incontro ravvicinato con la tua emotività e la tua irrequietezza. Passando i mesi l’impegno professionale cresceva insieme a tanta curiosità nel campo relazionale unita a una passione autentica verso risultati via via più brillanti. Ho fissato fin dall’inizio un criterio qualitativo con cui ho portato avanti l’attività e che mi consente ancora oggi di approcciare le persone senza bisogno di imbrigliare le loro idee, pur non lasciando nulla al caso. Il lavoro trasforma l’uomo che lo esegue e col tempo e con l’età sono passata da un prevalente individualismo a una forma di gran rispetto per le idee altrui. Ho cercato di coinvolgere i miei collaboratori in un virtuoso spirito di partecipazione, di orientarli a una concretezza basata sul realismo e sulla cautela, con invito alla capacità di ascoltare le esigenze dei clienti e di scegliere una prospettiva ampia, li ho esortati a rendersi capaci di autovalutazione e autocorrezione.
Questa è una professione che ti consente la massima libertà, è un’anarchia in piccola scala, si decide qualsiasi azione nel nostro quotidiano, ma un vero professionista si pone al di sopra della sua azione per cercarne il risultato più alto non restando indifferente alle esigenze degli altri. In questo contesto la curiosità e la capacità di lasciarsi sorprendere restano determinanti.
C’è un aneddoto particolare che ci può raccontare di tutti questi anni?
Sì, il mio incontro con San Benedetto, che per me è una sorta di manager del Medioevo. La sua lezione è ancora molto attuale. Oggi siamo di fronte a una crisi di natura strutturale, sta finendo una civiltà e ne sta cominciando un’altra. Ogni passaggio epocale assomiglia alla notte, ci si chiede di progettare il futuro facendo un salto nel buio. I parametri di ieri non servono più e quelli di domani non ci sono ancora. Sul portale del Monastero Benedettino di Subiaco si legge: “Le stelle brillano di più quanto più fonda è la notte”. Questa è la missione di Benedetto: illuminare il buio passaggio epocale allora come oggi, perché la spiritualità benedettina del lavoro mantiene tutta la sua vigoria anche in diversi contesti storici. Per lui il lavoro era il fondamento di un ordine economico a misura d’uomo, un bene fondamentale per una crescita spirituale, personale e sociale. La sua “Regola” (regula in latino significa “modo di vivere”) risale a 540 anni fa e ci insegna non delle tecniche da utilizzare nella nostra vita lavorativa, ma principi su cui si basa un vero e proprio stile di vita. Nella Regola si rilevano le caratteristiche che si debbono possedere e l’atteggiamento che si deve adottare per agire con equilibrio.Invita a scelte consapevoli e decise. Predica la misura per non incorrere in un impoverimento di sentimenti.Elogia con parole semplici atteggiamenti dinamici e positivi, il coinvolgimento di altri agli obiettivi.Esorta a non adagiarsi su quanto si è conquistato, perché sarebbe il primo modo di tornare indietro, ma a guardare sempre avanti cercando di fare meglio. In termini moderni definiremmo “intelligenza emotiva” questa strada indicata da Benedetto: l’abilità di essere intelligenti nella sfera delle emozioni per dominarle e usarle per guidare le nostre azioni.
I dati dei nostri iscritti dicono che su più di 233 mila, ci sono solo 30.421 donne. È stato difficile per lei farsi strada in un mondo prevalentemente maschile?
Io non ho avuto difficoltà forse perché sono andata sempre controcorrente e ho evitato di combattere quando non ero sicura di poter vincere. Vero è che se si ha un carattere mite e indeciso non consiglio di intraprendere questa professione, che richiede vivacità nel percepire segnali emergenti ed esige certezza nel portare a termine una trattativa.Come si dice: se stai pattinando sul ghiaccio sottile si salva chi è più sicuro e veloce.
C’è un segreto particolare per fare bene questa professione? Un consiglio che si sente di dare ai più giovani?
Ho adottato fin dall’inizio la regola delle tre T: tempo, talento, tenacia.
Io consiglio l’uso del tempo secondo scansioni definite e brevi.Dare una misura al tempo in tutte le occasioni, non disperdere la vita nell’essere troppo indaffarati, perché la vita è lunghissima se ci appartiene per intero.
Il secondo punto riguarda il coltivare il nostro talento in tutte le sue accezioni. La nostra professione richiede di essere:costruttori di un buon metodo, perché se hai un martello pensi al chiodo da battere; conquistatori di nuovi spazi di vendita; mediatori a caccia di equilibri e diplomazia. Dobbiamo crearci una riserva di positività, sforzarci di credere più a noi stessi che a miracolose tecniche di vendita, perché se crediamo con l’intelligenza arriviamo a credere col cuore e allora tutto diventa più semplice.
La terza T è quella della tenacia, ovvero proseguire questo viaggio nel lavoro anche quando tutto sembra andare storto, riflettendo sulle parole de Il Piccolo Principe: “ciò che rende bello il deserto è che da qualche parte nasconde un pozzo”.
Da ultimo ricordo che Darwin affermava che non è il più forte a sopravvivere, né il più intelligente, ma colui che è più pronto al cambiamento.Un cambiamento che l’agente deve favorire o addirittura provocare per non cristallizzarsi nella situazione raggiunta. Non siamo impiegati a contratto stabile, ma lavoriamo sul possibile e non sappiamo mai prima cosa succederà, serve una volontà di crescere e di realizzare le proprie migliori capacità. Queste tre T si raggiungono con un forte impegno nello studio della propria area di riferimento e con una grande dedizione alla propria crescita morale. In questo modo si raggiunge la consapevolezza di sé, base dello spirito di iniziativa.