A un certo punto della sua vita Ernesto Masina ha deciso di godersi la pensione da agente di commercio cimentandosi nella scrittura. Oggi vive a Varese e i suoi libri si possono comprare online. Sono piaciuti, hanno ottenuto belle recensioni e in qualche modo sono figli della sua esperienza come agente di commercio. In questa intervista ci racconta la sua vita lavorativa e la sua passione letteraria.
Ci può raccontare quando ha iniziato a muovere i primi passi nella professione di agente di commercio?
Nella preistoria. Era il 1954 mi ero da poco diplomato in Ragioneria e iscritto alla Bocconi. In casa non c’erano molti soldi e allora avevo pensato di trovare una fonte di guadagno che mi permettesse di avere spazi per frequentare almeno qualche volta i corsi universitari. Un amico di famiglia lavorava come informatore farmaceutico. L’attività comportava la visita dei medici di una determinata zona per promuovere i medicinali di una azienda chimica. Il conoscente mi procurò un contatto e iniziai questo lavoro con un amico. Giravamo la provincia di Varese e di Como in Vespa. Il tutto era piacevole nei periodi caldi ma diventava drammatico in inverno. Ricordo che quando alla mattina partivamo per visitare i medici lontani da casa nostra pativamo il freddo. L’unica copertura esistente per le mani, oltre ai guanti di lana, erano le pelli di coniglio rovesciate e per proteggere il corpo avevamo accertato che la miglior difesa erano i giornali sotto i vestiti. Più di una volta comunque, soprattutto di sera al rientro a casa, si rendeva necessaria una sosta per accendere un piccolo falò e far riprendere sensibilità alle mani che non riuscivano più a governare la leva del freno e della frizione. Quando racconto queste cose ai miei nipoti mi guardano come se fossero favole……
Da dove nasce la sua passione letteraria? ci sono scrittori che l’hanno ispirata?
Io ho sempre letto moltissimo, anche quando ho cominciato a svolgere l’attività. Riempivo le attese nelle sale d’aspetto degli ambulatori medici studiando oppure leggendo romanzi. Un giorno, a 76 anni, mi sono stufato di leggere libri con trame complicate, una serie infinita di personaggi difficili da ricordare e finali scontati e così ho pensato di tentare di scrivere il libro che mi sarebbe piaciuto leggere. È nato così L’orto fascista che non è, né vuole essere, un libro storico o politico. È una tragicommedia che si svolge nel 1943 in un paesino della Valle Camonica all’atto dell’invasione tedesca in Italia. Io mi sono divertito a scriverlo e molti (sembra) a leggerlo. Ho avuto un’ottima critica. I giornalisti de “La Stampa” hanno collocato il mio libro nel sito “Lo Scaffale” ove vengono ospitati solo i romanzi che non dovrebbero mancare in ogni biblioteca famigliare. Alcuni critici mi hanno paragonato al “miglior” Vitali e altri addirittura al mitico Piero Chiara. Visto il successo mi sono applicato e ho scritto Gilberto Lunardon detto il Limena che ha avuto altrettanto riscontro. Ora, a 83 anni, ho pubblicato L’oro di Breno e spero di aver centrato anche questa volta l’obiettivo: quello di coinvolgere e far divertire i miei lettori.
Crede che la sua esperienza come agente abbia in qualche modo contribuito a darle una particolare sensibilità nel suo rapporto con la scrittura e con il mondo?
Io sono convinto che le qualità necessarie per diventare un buon professionista in campo commerciale siano la serietà (il cliente non solo è quello che ci dà da mangiare, ma è anche il nostro miglior collaboratore) e la curiosità. Un agente che va in giro con il para-occhi sarà sempre un professionista mediocre. Non vedrà mai al di là di quello che gli raccontano i responsabili commerciali della ditta che rappresenta. Responsabili che il più delle volte non hanno mai “battuto la piazza” e quindi sono dei teorici senza esperienza di vendita diretta. La curiosità deve affinarsi di continuo e deve rendere il “venditore” culturalmente valido e collaborativo. Collaborativo con l’azienda ma, soprattutto, collaborativo con “l’acquirente”. Così collaborativo da rendersi quasi indispensabile… Questo vale, secondo me, anche per uno scrittore. Un buon narratore non può sempre affidarsi alla fantasia anche se è particolarmente fervida. Deve sapere di cosa scrive, non può tradire i suoi lettori dando informazioni approssimative o addirittura sballate. E poi quando lavoravo nel campo dei medicinali le attese nelle anticamere degli ambulatori erano riempite, anche dai discorsi dei presenti. Si vivevano storie raccontate da un’umanità ricca e diversa. Il vecchietto che parlava dei bei tempi andati, la comare che spettegolava sugli assenti, i giovani che erano insofferenti per le attese e maledivano il medico, quest’ultimo che, pur di guadagnare tanto, accettava un numero troppo alto di pazienti. Tante piccole storie che ricordandole ti aiutano a descrivere e a creare certe situazioni. Penso anche che un bravo scrittore, come un valido agente, debba attingere dalle persone che frequenta tanti spunti da coltivare e usare, con educazione e riservatezza, per creare dei rapporti che a volte sfociano nell’amicizia. Forse esagero ma tutti e due hanno come fine entrare nella mente, se non nel cuore, dei loro interlocutori.
Tra le opere che ha scritto ce n’è una a cui si sente maggiormente legato?
Sicuramente il primo dei miei romanzi L’orto fascista per vari motivi. Prima di tutto perché il primogenito è sempre…. il primogenito. Poi perché se non fossi riuscito a scriverlo e a farlo “gustare” probabilmente non sarei qui. Infine perché il bambino che è coprotagonista della trama del romanzo ha diversi elementi autobiografici.
Che consigli darebbe a un giovane che vuole intraprendere la professionedi agente?
Una volta quello del rappresentante detto anche “viaggiatore” era considerato come il lavoro di chi non aveva “né arte né parte”. Quasi come l’ultimo rifugio per chi doveva portare a casa i soldi per vivere. Quindi le doti richieste erano la pazienza, la forza e la disponibilità a spostarsi da una parte all’altra con i disagi che i mezzi pubblici provocavano (avere un proprio mezzo era una chimera difficilmente raggiungibile). Ora, a mio giudizio, non si può più fare una distinzione tra supporto tecnico o supporto commerciale al cliente. L’agente deve essere capace di raggruppare in sé queste due capacità. Il tempo è sempre più prezioso e “costoso”. E la frase “le mando il mio tecnico” è un concetto superato se non in casi molto particolari. Ma la cosa che giudico essenziale è la serietà nell’offerta, che non vuol dire solo onestà ma anche valutazione positiva del cliente con il quale si tratta. Magari solo alla lunga, ma ripaga sempre. Il cliente deve aver fiducia in voi.